“Modello Expo” ? No grazie!

31 Ottobre 2015, la Grande Kermesse è finalmente terminata in un vero e proprio tripudio, tanto da spingere Renzi a dichiarare entusiasticamente “Ha vinto l’Italia che non scappa davanti alle sfide, ma le affronta e le vince. Grazie Expo. Viva Milano, Viva l’Italia”, magnificando il risultato di una Esposizione che, a suo dire, ha consegnato al mondo intero l’immagine di una Italia in piena ripresa.

Un esito più che scontato (0 quantomeno spacciatoci come tale, dato che i reali risultati economici, se mai arriveranno, arriveranno a babbo morto); ne andava infatti della reputazione stessa del Governo che, in caso contrario, avrebbe visto mettere in dubbio quell’immagine di un paese slanciato verso un fulgido futuro che ci viene quotidianamente propinat0 dalla stampa.

Per quanto invece riguarda il tema centrale dell’Expo, quel “Nutrire il pianeta, energia per la vita” sbandierato quale filo conduttore dell’esposizione e come sua eredità morale, ebbene, pare sia scomparso nelle prime nebbie di Novembre, così come è velocemente scomparsa la famosa Carta di Milano, destinata a restare una pura e semplice dichiarazione di intenti dopo essere stata consegnata lo scorso 16 ottobre nelle mani del segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon.

L’Expo è dunque ormai terminato, però ci sta facendo dono di un suo lascito.

Parliamo infatti del cosiddetto “Modello Expo”. Quell’esempio di governabilità imposto a Milano durante i fatidici sei mesi del 2015 e considerato dal ceto dirigente italiano come un valido strumento, tanto da essere proposto a livello di sistema per tutti i futuri grandi eventi, quali il prossimo Giubileo, le possibili Olimpiadi di Roma e, chissà, forse non solo per quelli.

Esaminiamo quindi quali (pessime) ricadute ha avuto l’Expo su Milano, in particolare, per quanto riguarda il mondo del lavoro.

Partiamo da ciò che ha comportato per la città l’inaugurazione dell’Expo, elevato al rango di “Evento di interesse nazionale”, un aspetto inizialmente sottostimato ma che, col passare del tempo ha mostrato tutta la sua forza cogente e repressiva.

Un aspetto questo che ha improvvisamente trasformato Milano in una metropoli a tutti gli effetti commissariata, quasi fosse una zona a sé stante, separata dal resto del paese, sulla quale è improvvisamente calata dall’alto una invisibile (ma tangibilissima per i diretti interessati) cappa di divieti e imposizioni, sotto la quale qualsiasi tipo di conflitto è stato compresso e nei fatti negato, mentre invece fioccavano amplissime deroghe ai contratti di lavoro.

Quello che è certo è che dei 200.000 e rotti posti di lavoro, indotto compreso, inizialmente previsti da un corposo studio effettuato dall’Università Bocconi, se ne è visto in realtà un numero ben inferiore e di questi solo una minima parte, assunti direttamente dalla società Expo, ha avuto la possibilità di accedere ad uno stipendio degno di questo nome, mentre molti altri si sono dovuti accontentare di un contratto da 4 euro netti l’ora (800 euro al mese per 40 ore di lavoro) come nel caso degli addetti alla guardianìa, mentre altri ancora si sono visti rifilare qualcosa che assomigliava ad un banale rimborso spese.

L’Expo quale “Evento di interesse nazionale” ha però avuto un altro effetto, quello di trascinare nel suo vortice anche i sindacati confederali che, in nome del supremo interesse della patria, gli hanno riservato un trattamento di estremo favore in cambio di una rappresentanza sindacale esclusiva all’interno dell’area espositiva, con l’esclusione quindi di qualsiasi altro sindacato (conflittuale o no).

Grazie a questo scambio di favori l’evento nazionale per eccellenza si è quindi garantito una pace sociale totale ed imperativa all’interno del sito, anticipando – seppure in scala minore – quello che già oggi viene vissuto in moltissime aziende ma che mira a diventare la regola comune in tutto il paese.

Partendo da queste basi e con la scusa della crescita occupazionale del mondo giovanile, con il beneplacito sindacale l’Expo ha potuto “sdoganare” senza colpo ferire il contratto per la prestazione di lavoro a titolo gratuito e l’utilizzo di manodopera a prezzo di sconto per gli espositori mentre, al di fuori dell’area, è stata applicata la totale inibizione dello sciopero per i lavoratori del trasporto pubblico in nome del diritto dei visitatori ad accedere al sito.

Molti sono stati gli accordi dal titolo altisonante firmati tra sindacati, Expo, Comune, Regione e varie società di lavoro interinale.

Uno per tutti, il famigerato accordo del 23 Luglio 2013, denominato “Protocollo Sito Espositivo Expo 2015” e acclamato come “un accordo storico, da estendere sul territorio nazionale e in grado di rilanciare l’economia italiana!” che, mentre garantiva ai Sindacati confederali l’esclusiva rappresentanza sindacale (a totale insaputa dei futuri interessati) spalancava le porte a incredibili deroghe ai contratti di lavoro per Stage, Apprendistato e Tempo determinato destinati a coinvolgere circa due anni dopo gli 800 addetti assunti dalla società Expo tramite Manpower.

Che dire poi dell’accordo riservato al settore del commercio, allargato però all’intera provincia di Milano in nome della “occupabilità” per i giovani disoccupati, ai quali veniva appioppato un lavoro con inquadramento inferiore a quanto previsto dal contratto nazionale del settore ?

Per finire, ecco il cosiddetto “Accordo Quadro per l’area espositiva” del Maggio 2014, firmato anche questo a totale insaputa dei futuri addetti, che garantiva la totale assenza di qualsivoglia forma di sciopero o protesta sindacale per tutta la durata dell’evento, limitandosi a chiedere – se del caso – una semplice ed innocua procedura di conciliazione.

Proseguendo, in fatto di “effetto Expo”, possiamo citare il caso dei lavoratori del Teatro alla Scala che, in ossequio alla Festa dei lavoratori, si erano rifiutati di partecipare alla Prima prevista per il 1 maggio e che, additati dalla stampa al pubblico ludibrio ed evidentemente messi alle strette dai sindacati di appartenenza, erano dovuti successivamente tornare sui loro passi.

Su questo tema, vale inoltre la pena di citare l’incredibile licenziamento di 700 addetti, eseguito sulla base di elementi ancora oggi ignoti in quanto, come dichiarato da Filippo Bubbico, vice ministro dell’interno, l’Expo era considerato un sito sensibile, di rilevanza strategica, ed i criteri di selezionamento del personale dovevano restare riservati pena la perdita della loro efficacia (Sic !).

Di fatto, è stato riportato pienamente in voga il licenziamento per motivi politici, a piena e totale discrezione di un qualsiasi questurino addetto allo screening dei candidati lavoratori.

Dei 700 esclusi, solo 200 erano poi stati assolti (a posto di lavoro perso e ovviamente già prontamente sostituiti) mentre dei restanti 500 non si è saputo più nulla perché la stampa ha ritenuto il fatto non degno di ulteriori attenzioni (sempre per la serie “non disturbiamo il manovratore”), alla faccia dell’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori che recita: “‬È fatto divieto al datore di lavoro,‭ ‬ai fini dell’assunzione,‭ ‬come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro,‭ ‬di effettuare indagini,‭ ‬anche a mezzo di terzi,‭ ‬sulle opinioni politiche,‭ ‬religiose o sindacali del lavoratore,‭ ‬nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore‭”.

Passiamo ora al capitolo delle precettazioni. A parte la generale Pax sindacale garantita dai soliti noti, si è trattato di una prassi che nei mesi dell’Esposizione ha avuto un uso letteralmente spropositato, impedendo tutti gli scioperi indetti nel settore del trasporto pubblico milanese.

Come riportato da U.N. già a suo tempo, anche i lavoratori della A.T.M. di Milano erano stati oggetto di un ennesimo accordo “in stile Expo” firmato dalle Rsu aziendali ma mai sottoposto al parere dei diretti interessati, che ovviamente non avevano gradito la cosa.

Un primo sciopero indetto dalla CUB il 28 Aprile aveva visto una adesione effettiva pari all’ 80% con grande sgomento dei sindacati firmatari e delle autorità cittadine, ma da quel giorno e con l’Expo ormai in funzione, qualsiasi sciopero indetto per reclamare i propri legittimi diritti negati è stato reso impossibile dalle sistematiche precettazioni del Prefetto Tronca (Sarà un puro caso se costui è stato recentemente promosso a Commissario di Roma?).

Per finire, è opportuno rilevare che l’area Expo non solo è stata letteralmente blindata al suo interno, ma messa sotto stretta osservazione anche all’esterno.

Ne sanno qualcosa i militanti NoExpo ai quali è stato tassativamente impedita dalla Polizia qualsiasi forma di dissenso svolta nelle immediate vicinanze dei cancelli di ingresso, fosse pure un banale ed innocuo volantinaggio.

A conti fatti, appare chiarissimo come l’occasione dell’Expo sia stata una prima sperimentazione “in vitro” per verificare quali potrebbero essere le capacità di reazione dei lavoratori e dei cittadini di fronte alle future imposizioni che il governo Renzi, e quelli che lo seguiranno, intendono estendere al paese.

Una prima battaglia è stata sostanzialmente persa ma non è detto che la guerra sia già perduta.

Sta a noi fare in modo che il primo risultato negativo venga alla lunga ribaltato a nostro favore.

Peffe

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